Cassazione penale, sez. I, sent. n. 3590 del 24 gennaio 2017
L’obbligo, previsto dall’art. 20 della legge 18 aprile 1975 n. 110, di custodire le armi «con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica», quando non si tratti di soggetti che esercitino professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi, è adempiuto a condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit.
Alla luce di tale principio, in un caso in cui si cui è stato contestato il reato de quo, in quanto un fucile era custodito sopra un armadio, ma in un luogo cui si poteva accedere solo salendo su una sedia, tenuto conto del fatto che nell’abitazione viveva solo l’imputato e la moglie e che essa non era frequentata da minorenni (in presenza dei quali l’obbligo di custodia è rafforzato e la omessa custodia è autonomamente sanzionata dall’art. 20 bis della citata legge), la Corte ha ritenuto che l’obbligo fosse palesemente adempiuto, tenuto conto che l’abitazione era dotata di regolare chiusura delle porte con serrature.
Non sussiste in effetti per il privato cittadino alcun obbligo discendente dalla norma menzionata, di adottare particolari sistemi ed efficienti misure di difesa contro i furti in abitazione. La modalità specifica di custodia adottata dall’imputato, del resto, è stata più volte ritenuta idonea (da ultimo Sez. 1, Sentenza n. 6827 del 13.12.2012): essa, infatti, sottraeva l’arma alla disponibilità facile e diretta di coloro che frequentavano l’abitazione e non era immediatamente accessibile da parte di malintenzionati, penetrati nello stabile, considerando che, nei confronti di questi ultimi, soltanto l’adozione di cautele eccezionali (casseforti, camera blindata, ecc.) poteva dare maggiore garanzia circa una maggiore difficoltà di accesso all’arma, comunque mai impossibile.
Scrivi un commento