La vicenda, come noto, trae origine dal tragico crollo del Ponte Morandi, a Genova, avvenuta il 14 agosto 2018. L’infrastruttura in questione era stata costruita tra il 1963 e il 1967 dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua spa, su progetto dell’ingegnere Riccardo Morandi.
Il Ponte Morandi, o Viadotto di Polcevera, era un ponte con una struttura particolare, che lo rese a suo tempo rivoluzionario ed ammirato in tutto il mondo, che però, secondo le opinioni degli esperti – espresse prima e dopo il crollo – ha rappresentato anche un problema. Infatti, già pochi anni dopo la sua costruzione, furono necessari consistenti interventi di manutenzione, che poi si sono protratti in maniera ininterrotta anche negli anni successivi, ed anzi, imponenti interventi erano stati programmati anche prima del crollo, da parte di Autostrade per l’Italia, che gestiva il ponte stesso.
Il crollo, come noto, causò trentanove vittime, e la tragicità dell’evento, unita all’obiettiva importanza ed urgenza dell’opera, suggerì, ed anzi impose, scelte di natura eccezionale, nella consueta modalità emergenziale ed extra ordinem, che pare essere ormai l’unico strumento operativo utilizzabile per superare a piè pari ostacoli normativi e burocratici di ogni sorta.
Orbene, in questo contesto fu emanato il D.L. 109/2018, convertito con modificazioni nella L. 130/2018, con cui fu stabilita, in estrema sintesi, l’esclusione del concessionario dai lavori per la ricostruzione del ponte, ponendosi tuttavia a carico dello stesso i relativi oneri economici. Il quadro normativo così elaborato, accompagnato dalla promessa di una rapida, anzi, fulminea revoca della concessione, fu generalmente salutato con favore – in una qualche misura comprensibilmente – dall’opinione pubblica, sempre pronta alla decapitazione del cattivone di turno. Poco importa, infatti, al cittadino comune, accertare e ricostruire i fatti, nonché acclarare le responsabilità ed applicare sanzioni secondo diritto e norma. La società moderna ha bisogno di colpevoli, a qualunque costo, e poco è interessata al rispetto di garanzie e procedure, ovviamente, fin tanto che non si tratta di sé medesimi.
In ogni caso, la società concessionaria ritenne di tutelare i suoi interessi innanzi al TAR Liguria, impugnando in quella sede gli atti amministrativi applicativi della legislazione sopra richiamata, di cui il TAR stesso sollevò la questione di legittimità costituzionale con ordinanza n. 932 del 6 dicembre 2019. Il Giudice Amministrativo, infatti, ritenne che “con le disposizioni di legge sopra ricordate, come accennato, il legislatore è intervenuto nell’ambito del rapporto convenzionale di cui era ed è ancora parte ASPI incidendo autoritativamente sull’obbligo/diritto di quest’ultima di porre in essere qualunque attività relativa alla demolizione e ricostruzione del Viadotto Polcevera, escludendo altresì l’odierna ricorrente dalla possibilità di partecipare alle gare per gli affidamenti delle opere e servizi necessari per l’esecuzione delle medesime attività e imponendo inoltre alla stessa ulteriori prestazioni patrimoniali, escludendo le tutele approntate dalla stessa Convenzione. Se, in via astratta, tale soluzione estrema non possa ritenersi inammissibile, proprio in considerazione della estesa e incisiva portata degli effetti, la stessa deve essere sostenuta da una giustificazione non irragionevole o illogica e puntualmente motivata. In questo senso, trattandosi di norme integranti un’ipotesi di legge-provvedimento, si ritiene fosse onere del legislatore, anzitutto, precisare compiutamente gli elementi di opportunità e/o tecnici idonei a giustificare che per nessuna delle attività necessarie con riferimento al Viadotto Polcevera fosse possibile mantenere o attribuire in capo ad ASPI una specifica competenza ad intervenire. Non solo, ma attesa la particolare tutela sostanziale e procedurale che, come più sopra detto, la Convenzione pare assicurare al Concessionario, si ritiene che il legislatore avesse, da un lato, l’obbligo di far precedere comunque l’adozione di un provvedimento normativo quale quello in esame (il cui iter, va ricordato si è concluso nel novembre 2018, con la legge di conversione) da una adeguata istruttoria, in ordine alla situazione specifica di ASPI, e, dall’altro lato, l’obbligo di dar conto nel testo del provvedimento di una motivazione adeguata in ordine alle ragioni che possano aver giustificato la compressione delle prerogative e delle tutele previste dalla Convenzione da un lato, e in ordine al perché il legislatore ha ritenuto che l’interesse pubblico perseguito sarebbe stato meglio tutelato attraverso l’attività svolta solo dal Commissario anziché, anche solo parzialmente, da ASPI, quale concessionaria del tratto autostradale di riferimento. Il legislatore non pare avere adeguatamente assolto tale onere motivazionale con conseguente possibile violazione degli artt. 3 e 97 Cost.”
La Corte Costituzionale, nella seduta dell’8 luglio 2020, ha quindi esaminato le questioni sollevate dal TAR Liguria e riguardanti il D.L. 109/2028. In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa ha fatto sapere che la Corte ha ritenuto non fondate le questioni relative all’esclusione legislativa di Aspi dalla procedura negoziata volta alla scelta delle imprese alle quali affidare le opere di demolizione e di ricostruzione. “La decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso”.
Una considerazione conclusiva. Non è compito di chi scrive esprimere giudizi sui fatti o sulle responsabilità. Prudenza vuole ed onestà intellettuale e professionale impongono al giurista, e vieppiù al cittadino comune, di esigere per gli altri le medesime garanzie che si danno per scontate e si invocano per sé stessi, quando ne ricorre l’occasione. Ciò non impedisce di censurare l’opacità di talune vicende, che tuttavia non legittima, in questo come in nessun caso, il giudizio sommario, cui sempre più pare adusa la collettività, spesso molto “social” e poco sociale, aizzata da una classe politica mediocre, come e più della legislazione che produce.
In fondo, a ben leggere l’ordinanza del TAR Liguria, questa era la censura fondamentale, ossia, il non aver saputo motivare tecnicamente il perché delle scelte, quasi che il clamore ed il lutto collettivo potessero giustificare ogni e qualunque cosa. Il che è ovviamente comprensibile ed entro certi limiti giustificabile, perché se si segue e si deve seguire la via della garanzia per gli indagati, questo non può voler dire, o, almeno, non dovrebbe voler dire, indifferenza per le vittime.
Ma la sintesi delle due esigenze non può che stare nel diritto.
Scrivi un commento