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Covid 19, contratti ed impossibilità sopravvenuta

La pandemia causata dal dilagare del COVID-19 al momento sembra sia stata quanto meno contenuta, tanto che ci si avvia, finalmente, verso una almeno tendenziale normalità. Tuttavia, gli effetti economici di quanto accaduto nel corso degli ultimi quindici mesi, non sembrano essersi manifestati pienamente, né si ha ancora compiuta consapevolezza della devastazione che ne è derivata, ed ancora ne deriverà, sul piano dei rapporti commerciali e sulla gestione delle varie aziende ed attività, che in misura maggiore o minore hanno visto limitata, e spessissimo azzerata, la loro possibilità di operare.

È per altro facile prevedere – come lo Studio Legale Di Meo di Avellino sta riscontrando nella propria attività – che nei prossimi mesi vi sarà una vera e propria esplosione del contenzioso che riguarda i rapporti contrattuali, che risulterà spesso inevitabile, soprattuto quando il creditore si rifiuta di prendere atto della straordinarietà ed eccezionalità della situazione, che ha comportato la comprensibile ed incolpevole difficoltà di tener fede agli impregni presi in epoca pre-COVID- 19.

La gestione di situazioni del genere è tutt’altro che agevole. Tuttavia, non mancano nell’ordinamento possibili vie di uscita, che ben possono essere percorse, soprattutto in materia di contratti ad esecuzione continuativa, ossia destinati a protrarsi nel tempo, con riferimento a quelle aziende che sono state destinatarie di prolungati provvedimenti di chiusura, adottati con i ben noti DPCM, che si sono succeduti a partire dal febbraio 2020. È infatti ben comprensibile che la sospensione di molte attività, disposta dal Governo per motivi sanitari, non può non produrre effetti sulla sorte di quei contratti stipulati in epoca precedente, ove ne sia derivato un eventuale inadempimento incolpevole.

In effetti, sin da epoca risalente si è rilevato che la causa di forza maggiore costituita da un factum principis [ossia, da un provvedimento normativo o amministrativo emanato dalle autorità pubbliche legittimate a farlo] configura un’impossibilità sopravvenuta della prestazione principale non imputabile al debitore [Tribunale di Genova, 09.12.1992 n. 3256; Corte di Appello di Genova, sez. I, 07.05.1994 n. 506; Corte di Appello di Genova, 25.07.2003 . Anche più recentemente la giurisprudenza ha affermato che nel caso di esercizio di poteri autoritativi da parte di un ente pubblico, si determina un inadempimento non imputabile (Tribunale di Ascoli Piceno, Decreto n. 11570/2016 del 16.10.2016).

Naturalmente, la questione si presenta di particolare attualità e rilevanza con riguardo agli effetti, appunto, del COVID-19. Lo stesso, Legislatore, per la verità, non ha mancato prendere in considerazione gli effetti dei propri provvedimenti, scaturenti dall’emergenza COVID-19, sulle vita e sulla gestione delle aziende penalizzate. In effetti, il comma 6 bis dell’art. 3 D.L. 6/20, inserito dall’art. 91 del D.L. 18/20, ha stabilito che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

Si discute ancora sull’effettiva portata di tale norma, che talvolta viene immotivatamente ridimensionata, anche se, innegabilmente, la stessa costituisce sempre più spesso oggetto di esame da parte dei tribunali di tutta Italia. Naturalmente, l’elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria sul tema è ancora non del tutto matura, ma non mancano sin d’ora elementi che possono essere messi in adeguata evidenza. Di particolare rilievo, nel dettaglio, è il pronunciamento del Tribunale di Venezia (Ord. n. 5042/2020 del 22.05.2020), che ha ritenuto che la fattispecie in quella sede esaminata, relativa ad un contratto di affitto di ramo d’azienda, doveva essere valutata proprio alla luce della disposizione sopra appena richiamata.

Allo stesso modo, il Tribunale di Genova, sez. III, 01.06.2020, con decreto inaudita altra parte, ha ordinato alla resistente di astenersi dalla presentazione all’incasso dei titoli cambiari in suo possesso emessi dalla ricorrente, essendo stata dedotta ed argomentata l’impossibilità di procedere al pagamento per crisi di liquidità, in quanto, a causa delle misure restrittive in vigore per il contrasto della pandemia COVID-19, è stata ordinata la chiusura dell’attività imprenditoriale fino a data da destinarsi.

Ancora, il Tribunale di Macerata, con ordinanza n. 10744 del 28.10.2020, ha affermato che il rispetto delle norme di contenimento costituisce causa di forza maggiore (cfr anche Tribunale di Catania, sez, V civile, ord, del 30.07.2020; Tribunale di Bologna, Decreto n. 4976/2020 del 12.05.2020).

LAvv. Ferdinando G. Di Meo, del Foro di Avellino, ha recentemente inoltrato un ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. al Tribunale di Salerno, proprio contestando il preteso inadempimento dell’azienda propria assistita, che nonostante sia stata totalmente impossibilita ad operare sin dal marzo del 2020, si è vista opporre, a fronte del recesso dal contratto, un incomprensibile obbligo di preavviso di dodici mesi e la richiesta di pagamento di esose penali.

La questione, per altro, è assai più complicata e vasta del semplice richiamo alla norma eccezionale sopra richiamata, che non pare essere integralmente risolutiva, doverosi invece necessariamente fare riferimento anche alla disciplina codicistica in materia di contratti ed obbligazioni, e, soprattutto, come accennato, alle norme in materia di impossibilità sopravvenuta – che determina l’estinzione dell’obbligazione in caso di inadempimento incolpevole dovuto, appunto, a forza maggiore –  nonché, alla disciplina in materia di eccessiva onerosità sopravvenuta, che può fondare un’azione per ottenere la risoluzione del contratto.

Il presente contributo trae spunto dall’attività svolta dallo Studio Legale Di Meo in regime di convenzione legale

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