La fine di una relazione coniugale è prima di tutto una crisi di affetti, un terremoto personale e familiare, che può essere riconducibile alle cause più disparate. L’esperienza dello Studio Legale Di Meo mostra per altro un significativo mutamento delle motivazioni rappresentate dai coniugi per spiegare le ragioni della crisi.
In effetti, accade progressivamente con meno frequenza che si invochi il tradizionale “tradimento”, conclamato o solo sospettato più o meno fondatamente, mentre sempre più spesso emergono conflitti relazionali e cause scatenanti che suscitano in chi ascolta serie perplessità.
Lo Studio legale Di Meo, in effetti, soprattutto quando la vicenda coinvolge figli minori, nel trattare pratiche di separazione dei coniugi, avvia una consultazione preliminare, onde verificare che effettivamente non sussista alcuna possibilità di ricostituire una comune e serena vita familiare, e, solo all’esito negativo di tale accertamento preliminare, dà corso alle relative procedure.
E’ tuttavia accaduto che nel nostro studio di Avellino si sia presentata un coppia di coniugi disoccupati, in cui la moglie lamentava che il marito non la aiutava nelle faccende domestiche. Questione, certamente, di non scarso peso, posto che l’antico modello di famiglia patriarcale, in cui l’uomo siede a capotavola mentre la moglie lo serve è, o, almeno, dovrebbe essere un lontano ricordo. E però innegabile che la mancata collaborazione alle faccende domestiche, di per sé, parrebbe francamente poca cosa per demolire una famiglia, soprattutto se si considera che i coniugi, pur compulsati al riguardo, non riuscivano incredibilmente a fornire indicazioni sull’esistenza di ulteriori elementi di criticità.
D’altra parte, la tradizionale fenomenologia della crisi coniugale ha subito negli ultimi anni una metamorfosi anche sul piano degli strumenti di accertamento e di contestazione dell’infedeltà, con i vari social media che sono, per un verso, causa ed occasione del tradimento, e, per altro verso, strumenti di investigazione casalinga per mogli e mariti non sempre lucidi ed oggettivi, spesso incapaci di comprendere e gestire in modo appropriato e cauto i mezzi in questione.
Quel che pare certo è che l’evoluzione, o, forse, l’involuzione, sembrerebbe aver fatto perdere di vista il punto centrale, ossia, la necessità di un approccio cauto e serio al tema della famiglia, che vieppiù quando comprende figli minori, deve essere affrontato con senso di responsabilità, sia da parte dei coniugi, sia da parte del professionista investito della vicenda.
In effetti, specifico ed inderogabile dovere del professionista è quello di spiegare, guidare e rendere edotti i coniugi delle conseguenze delle loro scelte e delle relative responsabilità, che spesso vengono al contrario sottovalutate, salvo poi vedersi coinvolti in vicende processuali di varia natura, anche penale.
Non si può infatti dimenticare, per esempio, che l’art. 570 del codice penale prevede che “chiunque, abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 103 euro a 1.032 euro. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi […] fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge”.
In materia si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione, VI sezione penale, con la sentenza n. 22523 del 27 luglio 2020. Nel dettaglio, la Procura aveva proposto ricorso in sede di legittimità contro la sentenza con la quale il giudice di merito che aveva prosciolto l’imputato ex art. 131 bis c.p. Tale ultima norma, infatti, prevede che “nei reati per i quali é prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità é esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa é di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. […] Il comportamento é abituale […] nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.
Ebbene, la Cassazione ha rilevato che a fronte dell’obbligo stabilito dal Tribunale civile di versamento della somma di quattrocento euro mensili per il mantenimento dei figli minori, oltre al 50% delle spese straordinarie, l’imputato aveva omesso tale versamento per quattro mesi consecutivi, per ulteriori due mensilità aveva fatto solo dei versamenti parziali, oltre ad aver costantemente pagato solo in parte le spese straordinarie.
In ragione di ciò, secondo la Cassazione, si configura l’abitualità della condotta, con conseguente impossibilità di applicare l’art. 131 bis c.p., ossia, l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
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