La questione relativa alla sorte dell’assegno di separazione o divorzio, nel caso di instaurazione, da parte di uno dei coniugi o ex coniugi, di una convivenza more uxorio, ovvero di una famiglia di fatto, è stata lungamente dibattuta.
Il tema, ovviamente, ha tradizionalmente risentito di un atteggiamento culturale, prima ancora che dell’approccio legislativo e giuridico – che del primo erano intuitiva espressione – poco propenso ad assicurare adeguate forme di riconoscimento e tutela alla famiglia non fondata sul matrimonio, risentendo, in ciò – per limitarsi alla storia repubblicana – della formulazione dell’art. 29 della Costituzione, che come noto “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
Naturalmente, la problematica, dal punto di vista storico, ha origini assai più remote, ed inequivocabilmente si ricollega all’inconfutabile connotazione cattolica, per l’appunto, sul piano culturale più religioso, della nostra società. Tale connotazione, ben al di là delle influenze e dei condizionamenti, più o meno espliciti, esercitati dalle istituzioni ecclesiastiche o dalle forze politiche che manifestano una più accentuata vicinanza – spesso strumentale – ai dettami di quelle istituzioni, finisce, per lo più inconsapevolmente, per orientare scelte normative, posizioni dottrinarie, ma, ancor più, la coscienza sociale.
Tuttavia, notoriamente, lo stesso testo costituzionale fu frutto di sagge mediazioni e di scelte equilibrate, con la formulazione di norme che alla fine furono condivise ed accettate, per lo più a larga maggioranza, dai Padri Costituenti, anche se di orientamento politico e valoriale assolutamente divergente, essendo ben comprensibile la distanza tra gli esponenti della tradizione liberale, le formazioni di sinistra e quelle di ispirazione cattolica.
Emblematica ed autentica espressione di questo spirito costituente sono, primi fra tutti, i Principi Fondamentali contenuti negli artt. 1 -12, e, tra essi, per quanto rileva in questa sede, soprattutto gli artt. 2 e 3, che costituiscono il fulcro dell’intero assetto della Repubblica. In effetti, non solo si sanciscono i principi dell’uguaglianza formale e sostanziale (art. 3), ma si riconoscono “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, dovendosi oggi intendere inclusa tra tali formazioni sociali anche la famiglia di fatto.
La dottrina e la giurisprudenza hanno nel corso degli anni progressivamente, sia pure non compiutamente, preso atto di tale indicazione costituzionale, ed infine, lo stesso legislatore, soprattutto a partire dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, ha avviato un percorso nella stessa direzione, che per altro è ben lungi dall’essere completato.
Per quanto riguarda il tema specifico che interessa, ossia, quello del destino dell’assegno di separazione e divorzio in caso di convivenza more uxorio, per molti anni la giurisprudenza ha negato che quest’ultima potesse assumere di per sé efficacia preclusiva od estintiva del relativo diritto. E così, ancora nel 1996 la Cassazione esplicitamente affermò che “solo le nuove nozze dell’ex coniuge creditore dell’assegno di divorzio di cui all’art. 5 l. 1 dicembre 1970 n. 898, fanno cessare l’obbligo, a carico dell’altro, di corrispondergli l’assegno stesso, e non la semplice instaurazione, da parte del creditore, di una convivenza more uxorio, non implicando la stessa alcun diritto al mantenimento” (Cassazione civile, sez. I, 30 ottobre 1996 n. 9505). Ed anche successivamente, fino alla metà degli anni 2000, l’orientamento riscontrato dallo Studio Legale DI Meo, nel Tribunale di Avellino e del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, quest’ultimo ormai soppresso, era pacificamente orientato in questo senso.
In via successiva, per altro, la giurisprudenza non mancò di continuare nello scrutinio della questione, evidenziando che nella valutazione in ordine alla permanenza o meno del diritto all’assegno doveva tenersi conto, di volta in volta, della stabilità o meno della convivenza, ovvero, dell’effettiva incidenza della nuova convivenza sulla condizione economica del beneficiario. Così, Cassazione civile, sez. I, 8 luglio 2004, n. 12557, chiarì che “in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio, in linea di principio, di per sé permane, nella misura stabilita dalla sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se il suo titolare instauri una convivenza more uxorio con altra persona, salvo che sussistano i presupposti per la revisione dell’assegno […] e cioè che sia data la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento in melius – pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraentesi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza”.
Il percorso giurisprudenziale è tuttavia successivamente ulteriormente maturato, risultando oggi ormai consolidato il principio secondo il quale “in tema di separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica (tra le altre, Cassazione civile, sez. I, 19 dicembre 2018 n. 32871).
In tema di divorzio, poi, si è specificato che “la costituzione di una nuova famiglia di fatto da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile determina la perdita definitiva dell’assegno. Si tratta di un automatismo e non occorre la prova della modificazione in meglio della condizione economica del coniuge cui veniva versato l’assegno a seguito dell’intervenuto divorzio (Cassazione civile, sez. I, 28 febbraio 2019 n. 5974).
Tale orientamento è stato infine fatto proprio dalla giurisprudenza di merito, anche del Tribunale di Avellino.
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