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Prescrizione reati edilizi: al Tribunale di Avellino la prescrizione secondo il maggior vantaggio per l’imputato. Art. 157 c.cp.

Prescrizione reati edilizi: l’onere di provare con precisione l’epoca del reato grava sull’accusa e non sull’imputato.

In una recentissima sentenza del 14 aprile 2022 del Tribunale di Avellino, ha fatto applicazione del principio del favor rei, nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto reati edilizi. Nel dettaglio, accogliendo la tesi dell’Avv. Ferdinando G. Di Meo, difensore dell’imputato, il Tribunale di Avellino ha giustamente affermato che “il reato in contestazione ha natura permanente, per cui il momento consumativo ha inizio con l’avvio dei lavori e perdura per tutto il tempo di realizzazione, sino all’effettiva cessazione dell’attività edificatoria abusiva”.

“In particolare, la cessazione di tale attività abusiva si avrà con l’ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori, volontaria o imposta, con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio. Infine, va precisato che l’ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura (ex multis, Cassazione penale, n. 39733/11).”

“Con tale ultima pronuncia, la Suprema Corte ha ribadito che il termine di prescrizione del reato non matura qualora il manufatto abusivo non risulti effettivamente ultimato. Qualora il soggetto indagato del reato di abuso edilizio voglia giovarsi del termine prescrizionale, quale causa estintiva del reato, dovrà necessariamente allegare agli atti causa gli elementi in suo possesso, al fine di dimostrare l’avvenuta ultimazione dei lavori realizzati abusivamente”.

Tuttavia, ha precisato il Tribunale di Avellino“in caso di incertezza sul tempus commissi delicti, il termine di decorrenza va computato secondo il maggior vantaggio per l’imputato, come si desume chiaramente dall’art. 531 comma 2 c.p.p.”.

La sentenza in parola, in effetti, è assolutamente lineare e coerente con gli insegnamenti della Suprema Corte, che invece non paiono essere stati seguiti in un’altra occasione, sempre da parte del Tribunale di Avellino.

In effetti, nell’ambito di una diversa vicenda, che per altro aveva ad oggetto non reati permanenti, come quelli edilizi, ma un reato “istantaneo” qual è quello di cui all‘art. 334 c.p. [sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro], in una sentenza del novembre 2021, il medesimo tribunale aveva testualmente affermato che “la difesa non ha prodotto prova idonea in ordine all’epoca di commissione del fatto”, che, per il vero, razionalmente, ma anche in via probatoria, nella fattispecie in quella sede esaminata, risaliva addirittura all’anno 2004.

Il Tribunale, tuttavia, aveva ritenuto di non condividere la tesi difensiva, escludendo che il termine di prescrizione potesse ritenersi maturato, in quanto, in mancanza di indicazioni certe di segno contrario, il reato doveva ritenersi consumato in epoca prossima alla data dell’accertamento, ossia, nel 2018, a quattordici anni di distanza dalla data del sequestro. 

Contro tale sentenza, lo Studio Legale Di Meo di Avellino ha proposto impugnazione, richiamando la diluviante giurisprudenza sul punto. In effetti, l’Avv. Ferdinando G. Di Meo ha rilevato che la giurisprudenza ha costantemente affermato, sin da epoca risalente [Cassazione penale, 09.07.1993, Bambini, in Giustizia Penale, 1994, Vol. II, pag. 194; cfr anche Codice Penale, Lattanzi – Lupo, sub art. 158, pag. 204], che “l’onere di provare con precisione l’epoca del reato grava sull’accusa e non sull’imputato”.

Ed anche più recentemente si è ribadito che “in tema di prescrizione, l’onere di provare con precisione la data di commissione del reato non grava sull’imputato ma sull’accusa, con la conseguenza che in mancanza di prova certa sulla data di consumazione, in applicazione del principio del favor rei, deve essere dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione[ex plurimis, Cassazione penale, sez. II, 24.05.2006 n. 19472].

Ed ancora, Cassazione penale, sez. II, 16.05.2014 n. 35662, nel ribadire che l’onere di provare con precisione la data di commissione del reato non grava sull’imputato ma sull’accusa, ha altresì testualmente rilevato che questa Corte Suprema ha già chiarito che quando vi sia incertezza circa il tempus commissi delicti, il termine di decorrenza della prescrizione va computato secondo il maggior vantaggio per l’imputato, sicché il reato va ritenuto consumato alla data più risalente[cfr anche Cassazione penale, sez. III, 03.12.2009, n. 8283, Cassazione penale, sez. II, 09.06.2016 n. 31946].

Del resto, la giurisprudenza ha affermato che se è vero che per l’operatività del principio del favor rei in materia di prescrizione, è necessario che vi sia un’incertezza assoluta sulla data di commissione del fatto, quella stessa giurisprudenza con orientamento più che consolidato, ha costantemente ribadito che l’applicazione del principio del favor rei, in forza del quale in caso di dubbio il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all’imputato, può essere escluso, eventualmente, solo in forza di deduzioni logiche, oltre che, ovviamente, sulla base di elementi di prova di segno opposto [ex plurimis, Cassazione penale, sez. II, 10.10.2017 n. 46467; Cassazione penale, sez. II, 13.12.2017 n. 4139]. 

Non resta dunque che attendere il pronunciamento della Corte di Appello, che, sollecitata dall’Avv. Ferdinando G. Di Meo, dovrà dirimere il contrasto interpretativo insorto all’interno del Tribunale di Avellino.

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